Data di pubblicazione: Prima edizione: novembre 2010. Seconda edizione: Marzo 2011.
Genere: Autobiografico
Autore: Luca Dalla Palma.
Descrizione:
Nel suo romanzo d’esordio, il giovane autore ci conduce attraverso le tappe del suo viaggio straordinario alla scoperta delle gioie e delle difficoltà; delle sorprese e delle attese; delle certezze e dei dubbi che ognuno sperimenta. Affrontare la vita ‘a quattro ruote’ può sembrare un bel macigno, eppure Luca racconta con entusiasmo e vivacità la sua esperienza tra carrozzine sciagurate e pullman selvaggi, “donne angelicate”, perfide megere e incidenti di percorso non sempre facili da digerire. Mai senza un briciolo di autoironia e sana introspezione. E mai senza un Amico d’eccezione …
ISBN: 9788897107170
Editore: Marco Serra Tarantola Editore.
Alcuni brani accompagnati da immagini:
(…)
Da circa sette mesi, ormai, sto vivendo un momento difficile
della mia vita: le certezze, che pensavo di avere, la direzione
verso la quale stavo andando, tutto sommato, mi davano
soddisfazione, e come capita spesso, ho vissuto senza pensare
che la situazione sarebbe potuta cambiare.
In questa fase, anche Dio, che è sempre stato il centro e una
delle poche certezze della mia vita, è stato messo in discussione.
Non dubito della sua esistenza, gli studi teologici che
ho compiuto, non mi permettono nemmeno di pensare che
Lui si sia dimenticato di me, ma allora, “cosa mi sta succedendo”?
Sono certo che il Signore mi stia mandando dei segnali per
indicarmi la via da seguire, ma, per ora, non li comprendo.
In questo libro, che non ha una scaletta prestabilita, ma che
nascerà pagina dopo pagina, vorrei ripercorrere il cammino
compiuto fino a qui, rivivendo le tappe fondamentali del
mio rapporto con Dio, per cercare di capire la strada che
devo seguire.
(…)
(Tratto dal prologo)
————
Era da parecchi anni che chiedevo a mamma e papà una sorellina,
mi piaceva l’idea di avere qualcuno con cui giocare
e una bimba piccola, mi dava l’idea della dolcezza. Alla fine
visto che il tempo passava mi ero quasi rassegnato e rinunciato
al pensiero convincendomi che in fondo essere figlio
unico poteva avere anche dei privilegi.
(…)
Ricordo che dopo cena arrivarono papà e mamma a prendermi
e prima di tornare a casa mi dissero: “Luca abbiamo una
cosa da dirti, fra qualche mese nascerà il tuo fratellino.”
La mia gioia in quel momento era davvero pazzesca! È vero
avrei preferito una sorellina, ma poco importava, finalmente
non ero più solo e poi non mi si sarebbe riempita la casa
di bambole, anche questo aspetto non era da sottovalutare.
(…)
Finalmente verso le 19.45 ecco al telefono la voce di papà
che annunciava: «È nato Marco! Sia lui che la mamma stanno
bene!» La gioia che ho provato in quel momento non la
so esprimere a parole, l’attesa era finalmente finita!
(…)
L’arrivo di mio fratello è stato senza dubbio uno dei momenti
più felici della mia vita.
(…)
(Tratto dal capitolo sesto)
————
(…)
Il fatto di non essere fisicamente autonomo, fin da bambino,
mi ha portato ad affidarmi ovviamente fidandomi in
modo incondizionato, delle persone che nella vita mi hanno
assistito. Calcolate che solo a scuola avevo tre obiettori che
ogni anno facevano a turno, moltiplicateli per circa quindici
anni scolastici e fate un po’ voi i conti. Poteva capitare
qualche piccolo inconveniente, tanto che la mia battuta ricorrente,
anche per tranquillizzare la persona che mi aiuta
è: «Per essere promosso, devi farmi cadere almeno una volta!
» L’ho sempre fatta come battuta, ma quel giorno l’ho
vista veramente brutta.
La pioggia continuava a cadere insistentemente e noi stavamo
percorrendo tutti in fila alcuni marciapiedi a lato della
strada principale che portava all’ingresso della città. Al momento
di scendere dal gradino, come al solito, Pietro alzò
le rotelline davanti, per fare in modo che la pendenza non
mi facesse scivolare, in parole semplici, ha impennato, è una
cosa normale, l’avremmo fatta mille volte, ma in quel caso
qualcosa non funzionò. Successe tutto un pochi secondi. La
carrozzina si inclinò in modo anomalo ed io scivolai lateralmente
verso sinistra, non ebbi la prontezza di attaccarmi ai
braccioli, ormai la caduta era inevitabile, ma l’angoscia mi
assalì quando mi resi conto che mi sarei trovato a terra sullo
stradone principale e guardando vidi arrivare nella mia direzione
un autobus di linea che procedeva a forte velocità.
Sentii che Pietro tentò di afferrarmi per la giacca a vento,
ma era bagnata e non riuscì a tenermi.Mi ritrovai per terrà
e decisi di chiudere gli occhi, pochi secondi dopo il pullman
mi avrebbe investito e sarei certamente morto! Avete
presente il modo di dire “ho visto la morte in faccia”? Vi
assicuro è terribile! In quei due secondi ad occhi chiusi,
in cui aspettavo la mia fine, vidi tre persone: mamma che
piangeva, papà che le era accanto e il nonno Giacomo che
mi sorrideva. Sentii il fragoroso rumore dei freni, nel disperato
tentativo di evitare l’urto e subito dopo delle grida didisperazione.
Rimasi qualche istante immobile e terrorizzato. Ero vivo?
E in quel caso, come potevo essere ridotto? Aprii gli occhi
e mi ritrovai con la testa sotto il grande mezzo, con la
parte sinistra del mio viso appoggiata alla ruota posteriore
del pullman. Era veramente stata questione di millimetri, e
la mia testa sarebbe stata schiacciata. Subito l’autista scese
e mentre mi stavano tirando su da terra disse in dialetto
veneto: «Se ga fato male?» (ma no guarda, mi sono fatto
bene… ma che domanda è??). Dopo aver verificato che la
situazione non era grave, ripartii immediatamente. La mia
prima frase fu: “Ho perso gli occhiali”, che furono recuperati
integri e poi aggiunsi ridendo: «Cacchio ho fermato
un pullman con la testa!» Tutti i miei compagni fino a quel
momento atterriti si lasciarono andare in una grande risata
e la tensione si stemperò. Perdevo sangue dal sopracciglio
sinistro e la mia faccia divenne presto viola e gonfia a causa
della botta. Una gentilissima signora che aveva assistito a
tutta la scena dal balcone di casa, accorse subito armata di
disinfettante, borsa del ghiaccio, che conservo ancora gelosamente,
garze e cerotti.
Non andai a vedere il famoso balcone, ma mi portarono al
bar a bere qualcosa. Presto le mie battute lasciarono il posto
alla consapevolezza di ciò che mi sarebbe potuto accadere.
Per molte notti non sono riuscito più a dormire, ogni volta
che cercavo di chiudere gli occhi vedevo il mio corpo a terra
senza vita con la testa spappolata.
Che giornata di merda…
(Tratto dal capitolo diciassettesimo)
————
(…)
Potrei paragonarlo
ad un’attraversata in mare, proprio come facevano
nel passato i grandi esploratori, che sprezzanti del pericolo
prendevano il largo senza avere in mente una meta precisa.
Questo permetteva loro di fare delle scoperte importantissime
per l’umanità, ma sicuramente alla fine dentro di loro
sentivano il bisogno di tornare a casa.
Mi viene in mente la meravigliosa vicenda di Ulisse raccontata
nell’Odissea, dove il protagonista avrebbe potuto
benissimo rimanere per tutta la vita sull’isola di Ogigia,
dov’era considerato un vero e proprio eroe della guerra di
Troia, trattato con tutti gli onori. Addirittura aveva fatto
innamorare di sé la bellissima ninfa Calipso che voleva perfino
offrigli il dono dell’immortalità. Eppure il nostro Ulisse
ha superato una marea di ostacoli per ritrovare finalmente
la strada conosciuta che gli ha permesso, dopo mille peripezie,
di tornare finalmente alla sua vita insieme alle persone
che lo attendevano ad Itaca.
Anche la mia in un certo senso è stata un’esplorazione, ho
cercato dentro me la strada che credevo smarrita, ma in ogni
caso, non ho mai perso la consapevolezza, accompagnata
da un minimo di lucidità, che mi hanno permesso di non
dimenticare che l’unico modo per ritrovarmi veramente era
quello di affidarmi a Dio.
(…)
(Tratto dalle conclusioni)
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